Una memoria difficile

Le memorie private e quella ufficiale della nazione hanno avuto, nella Germania federale, percorsi e cronologie differenti. Nell’immediato dopoguerra sono molto forti istanze pratiche di ricostruzione materiale e sociale. A livello nazionale, l’adesione al nazismo viene condannata e in parte perseguita, ma poi viene messa in secondo piano dalle necessità del presente, come se fosse una storia superata. Non essendo stata elaborata nel profondo, invece, il peso di questo passato rimane nel quadro sociale e nelle memorie familiari, tra rimozione e negazione delle responsabilità personali.

Tedeschi come vittime

Durante i primi anni del dopoguerra sia in Austria che nella Repubblica federale tedesca la memoria della propria vittimizzazione fu centrale. L’Austria aveva scelto di presentarsi come «primo paese libero vittima dell’aggressione hitleriana», mentre nella realtà l’annessione al Reich era stata auspicata e poi festeggiata da buona parte della popolazione. In Germania la memoria ufficiale assunse come suoi elementi centrali lo smembramento subito, la lunga prigionia dei suoi soldati nell’Unione Sovietica e il destino dei tedeschi dei territori orientali del Reich costretti ad abbandonare le loro case. 
La distruzione senza precedenti subita dalle città a causa dei tremendi bombardamenti ‒ che avevano ucciso seicentomila persone e lasciato oltre sette milioni di senzatetto ‒ pur essendo molto pesante nelle memorie familiari, fu invece a lungo un tabù per la memoria ufficiale. Nel nuovo ordine post-bellico l’ex nemico, artefice principale della polverizzazione delle città tedesche, era diventato il nuovo alleato. 
Parallelamente, l’opinione pubblica chiedeva che venisse posta fine al processo di denazificazione. I processi dei tribunali internazionali per i crimini del nazismo venivano percepiti come «giustizia dei vincitori».

Piscina per bambini davanti alle rovine della Nordbahnhof a Berlino, 1959 © Bundesarchiv / fot. Erich Zühlsdorf

Risarcimenti pubblici e silenzi familiari

Mentre sul piano politico la Germania ovest sotto la guida di Adenauer affrontò le ipoteche del passato facendosi carico di risarcimenti finanziari ai paesi occupati durante la guerra e a Israele, che aveva accolto centinaia di migliaia di profughi ebrei e di sopravvissuti della Shoah, sul piano della vita privata dei suoi cittadini prevalse quello che il filosofo Hermann Lübbe nel 1983 definì un «tacere comunicativo» [kommunikatives Beschweigen]. Una forma di discrezione, che può essere descritta come un «non chiedere, non dire»: non una vera e propria rimozione, ma la scelta di celare la propria biografia relativa agli anni 1933-1945 e il disinteresse per la biografia degli altri. Tuttavia, alla fine degli anni Cinquanta il peso di questo silenzio iniziò a gravare, innescando uno scontro lacerante tra la generazione dei figli e quella dei genitori ex-nazisti.

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