Il processo Reder
Walter Reder viene fatto prigioniero nel 1945 in un ospedale militare austriaco e internato nel campo di Wolfsberg, in Carinzia. Nel 1948 è estradato in Italia dalle autorità britanniche. Nell’immediato dopoguerra, infatti, sono iniziate le indagini volte a stabilire le responsabilità per diverse stragi avvenute tra Emilia e Toscana nell’estate e autunno del 1944.
Dopo un’istruttoria lunga tre anni, l’ex maggiore Reder, comandante del reparto esplorante della 16. SS-Panzergrenadier-Division "Reichsführer-SS", è imputato per alcuni eccidi commessi in Versilia e nel territorio appenninico tra la valle del Reno e la valle del Setta: il territorio attorno a Monte Sole, afferente ai comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana Morandi.
Il processo si apre il 18 settembre 1951 presso il Tribunale militare di Bologna. Per diversi giorni, davanti alla corte presieduta dal generale di brigata Paolo Petroni, si alternano le voci dei testimoni, in molti casi loro stessi sopravvissuti, che nelle loro dolorose deposizioni raccontano le violenze subite. Molti di loro portano sul bavero della giacca una striscia di tessuto nero con alcune stelline, una per ogni vittima della loro famiglia.
Wo gehobelt wird, da fallen Späne [Quando si pialla, i trucioli cadono]
Ricostruire i dibattimenti attraverso i giornali
Diversi quotidiani, locali e nazionali, seguono i dibattimenti, riportando stralci delle testimonianze, delle domande del pubblico ministero Piero Stellacci, delle obiezioni degli avvocati della difesa, Mevio Magnarini, Giuseppe Schirò e Claus von Heydebreck. Nelle sue laconiche risposte Walter Reder ribadisce, in italiano, come l’operazione attorno a Monte Sole avesse un carattere militare, di lotta contro i partigiani. «Wo gehobelt wird, da fallen Späne» ovvero «Quando si pialla, i trucioli cadono»: con questo detto tedesco l’ex maggiore indica l’inevitabilità del coinvolgimento dei civili in quel tipo di operazioni.
Il procedimento avviene in concomitanza con il settimo anniversario della strage, acuendo la tensione attorno ai dibattimenti. È il primo momento di ricostruzione pubblica degli eventi accaduti sia nell’area di Monte Sole, che in Versilia: il sopralluogo della corte e dell’imputato a Fivizzano e Sant’Anna di Stazzema solleva forti reazioni nella popolazione.
Le immagini
Presso la Cineteca di Bologna sono conservati due fondi fotografici di fotoreporter che seguirono il processo a Walter Reder. Oltre all’imputato, gli scatti riprendono i protagonisti dei dibattimenti: il giudice Paolo Petroni, il pubblico ministero Piero Stellacci, gli avvocati della difesa Mevio Magnarini, Giuseppe Schirò e Claus von Heydebreck.
Responsabilità personale o per l’ordine impartito?
Il pubblico ministero vorrebbe dimostrare la responsabilità personale dell’imputato, non solo quella derivante dal suo ruolo di comandante. Tuttavia, la “catena di comando” farebbe risalire la responsabilità ad altre figure, come il generale Max Simon o il feldmaresciallo Albert Kesselring, al comando delle forze tedesche in Italia. Condannati dai Tribunali militari alleati prima alla pena di morte, poi all’ergastolo, entrambi furono scarcerati nel corso degli anni ‘50.
Walter Reder – insieme a Herbert Kappler, per la strage delle Fosse Ardeatine – fu invece giudicato e condannato dalla giurisdizione militare italiana, con una sentenza che assunse, oltre a quello relativo ai fatti, anche un valore simbolico.
Lo sguardo dei fotoreporter registra le espressioni dei testimoni e del pubblico: dolore, tensione, rabbia.
La sentenza
Il 31 ottobre 1951 i giudici condannano Walter Reder all’ergastolo per le stragi di Vinca, Valla e Bardine e per alcuni eccidi di Monte Sole, in particolare Casaglia, Cerpiano, Caprara, San Giovanni di Sopra e di Sotto, Cà di Bavellino e Casoni di Rio Moneta. Ovvero, le località in cui, per ammissione dello stesso ex maggiore SS, avevano operato i suoi uomini. Secondo la sentenza, Reder fu «criminale in occasione della guerra» perché «nella guerra trovò le condizioni più idonee per l'esplosione di quegli istinti criminali propri della sua indole».
Data l’impossibilità di provare il suo coinvolgimento, Reder viene invece assolto per i fatti di Bèrgiola Foscalina e Sant’Anna di Stazzema. Dopo un lungo lavoro storico e giudiziario, è emerso come quest’ultima strage non sia imputabile a Reder e al reparto esplorante, quanto a un’altra unità della 16a divisione, il II battaglione del SS-Panzer-Grenadier-Regiment 35 al comando di Anton Galler.
È interessante sottolineare come la giustizia in quell’occasione omise di procedere contro i comandanti di compagnia sopravvissuti al conflitto, tra cui Max Saalfrank, che partecipò al processo come testimone.
Nel 1954 il processo di appello confermò la sentenza, che Reder scontò presso il reclusorio militare di Gaeta.
La richiesta di perdono del 1967
Nell’aprile 1967 Walter Reder, per ottenere la grazia dal presidente della Repubblica italiana, chiese perdono al sindaco di Marzabotto, Giovanni Bottonelli. Egli, ritenendo che tale decisione non potesse essere presa da un rappresentante politico, ma solo dai sopravvissuti e dai parenti delle vittime, indisse un referendum nel luglio dello stesso anno. Con 282 voti contrari, 4 a favore e 2 schede nulle, a cui si aggiunsero altri 47 NO arrivati per posta, il perdono venne negato.
Boia o capro espiatorio?
I tentativi di Reder per ottenere il rilascio anticipato o la grazia furono numerosi ma, a differenza di altri criminali di guerra, l’ex maggior SS rimase nel carcere di Gaeta per più di 30 anni. In Germania e Austria si attivarono diverse campagne di solidarietà per la sua scarcerazione.
Per l’opinione pubblica italiana Reder rappresentava un simbolo vivente dell’occupazione e dei crimini di guerra, spesso definito come il “boia” o la “jena” di Marzabotto. Nella Repubblica federale tedesca e in Austria, invece, la percezione era radicalmente diversa: Walter Reder era descritto come un martire, un “capro espiatorio”, “sepolto vivo” e “ostaggio dei comunisti italiani”.
Il rientro in Austria
Nel 1980 una sentenza del Tribunale militare di Bari stabilì il ravvedimento di Walter Reder e quindi la concessione della libertà condizionale, prevedendo ancora cinque anni di internamento nel carcere di Gaeta con lo status di prigioniero di guerra. Alla scarcerazione l’ex maggiore SS avrebbe dovuto restare comunque a disposizione della giustizia italiana.
Il 24 dicembre 1984 Reder scrisse una nuova lettera alla comunità di Marzabotto, questa volta ammettendo le proprie responsabilità e chiedendo perdono, ma la richiesta fu nuovamente respinta.
Il 24 gennaio 1985, al termine di estenuanti trattative tra i governi di Italia e Austria (di cui Reder aveva riacquisito la cittadinanza nel 1956), grazie anche alla mediazione della Chiesa cattolica, per decisione del presidente del Consiglio Bettino Craxi PSI) e del cancelliere austriaco Fred Sinowatz (SPÖ), Reder venne rilasciato e trasferito in Austria.
All’arrivo a Graz, fu accolto dal ministro della Difesa, Friedhelm Frischenschlager (FPÖ), che gli strinse la mano. Quel gesto scatenò immediatamente una crisi all’interno della coalizione di governo austriaca. Dopo essersi presentata per decenni come prima vittima del nazismo, l’Austria iniziò allora a riflettere sulla propria adesione e partecipazione al regime. Poco dopo il suo ritorno, Reder ritrattò la dichiarazione di pentimento che gli era valsa la libertà, definendola “una mossa del mio avvocato italiano”. Negli anni successivi l’ex maggiore partecipò regolarmente ai raduni dei reduci SS, che lo avevano sostenuto durante tutta la prigionia.
Il 26 aprile 1991 Walter Reder muore in ospedale a Vienna. L’8 maggio, anniversario della fine della guerra in Europa, della capitolazione della Wehrmacht, della liberazione dal nazismo, si tenne il suo funerale nel cimitero cattolico di Gmunden. Alla cerimonia prese parte un folto pubblico, tra cui numerosi rappresentanti delle organizzazioni reducistiche delle SS e dell’estremismo di destra.
Bibliografia
Luca Baldissara, Paolo Pezzino, Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole, Bologna, Il Mulino, 2009.
Marco De Paolis, Paolo Pezzino, La difficile giustizia. I processi per crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-2013, Roma, Viella, 2016.
Toni Rovatti, Il caso Reder, in Luciano Casali, Dianella Gagliani (a cura di), La politica del terrore. Stragi e violenze naziste e fasciste in Emilia Romagna, Napoli, l'ancora del mediterraneo, 2008, pp. 259-275.
Joachim Staron, Fosse Ardeatine e Marzabotto: storia e memoria di due stragi tedesche, Bologna, Il Mulino, 2007.
Barbara Tóth, Der Handschlag. Die Affäre Frischenschlager-Reder, con una postfazione di Friedhelm Frischenschlager, Innsbruck, Studien-Verlag, 2017 [il testo di Tóth contiene un'ampia bibliografia in lingua tedesca].
Materiali multimediali
Elena Pirazzoli, voce "Walter Reder" - 4 ottobre 1951, Wikiradio, Rai Radio Tre.