8 settembre 1943
La crisi politica e militare in Italia nell’estate del 1943
L’8 settembre 1943 fu annunciato l’armistizio firmato il 3
I suoi precedenti sono da ricercare nella grave crisi militare, politica, economica e sociale che attraversò l’Italia dal 1942 e nel fallimento della "guerra parallela" al fianco della Germania nazista. Svanita l’illusione di una guerra breve e facile, gli insuccessi delle forze dell’Asse sui vari fronti di guerra fecero crescere l’ostilità alla guerra in gran parte del popolo italiano. Il crollo del fronte italiano in Russia nel gennaio 1943, la resa delle forze dell’Asse in Tunisia nel maggio e lo sbarco alleato in Sicilia il 10 luglio 1943 aggravarono la crisi politica del regime fascista, che raggiunse il suo apice con l'arresto di Benito Mussolini il 25 luglio e la sua sostituzione con l’anziano maresciallo Pietro Badoglio.
Nei 45 giorni tra la deposizione di Mussolini e l’annuncio dell’armistizio il governo italiano si trovò ad affrontare un difficile compito: gestire sul fronte interno il crollo del fascismo e proseguire la guerra al fianco della Germania. Anche la dura repressione interna, anziché favorire l’unità nazionale, rafforzò le divisioni della società italiana. La politica badogliana fu in effetti caratterizzata da molte ambiguità: nei confronti dell’alleato tedesco, con richieste di rinforzi e assicurazioni della propria fedeltà all’Asse; nei confronti degli angloamericani con segnali contraddittori sulle proprie intenzioni e nei confronti dei partiti democratici e antifascisti che spingevano per ribaltare il tavolo delle alleanze e porre fine senza indugio alla guerra.
La reazione tedesca
Il crollo del fascismo fu percepito in Germania con grande allarme. Nonostante che Badoglio, con l’annuncio "la guerra continua e l’Italia resta fedele alla parola data", intendesse rassicurare i vertici del Reich, Hitler, convinto che la capitolazione fosse ormai imminente, ordinò l’elaborazione di dettagliati piani di occupazione e il trasferimento in Italia di consistenti forze militari. Nella percezione tedesca, la difesa della Sicilia dipendeva ormai soltanto dalla Wehrmacht, mentre le forze italiane si erano in gran parte sbandate. Ovunque nei territori occupati dai due paesi, gli ufficiali e i funzionari italiani avevano da tempo iniziato a prendere le distanze dai tedeschi.
Per la Germania nazista, rimasta dopo la scomparsa di Mussolini priva di interlocutori politici di fiducia, la situazione venutasi a creare in Italia risultava
Il senso di minaccia incombente si trasferì rapidamente dai vertici a tutta la popolazione tedesca, rafforzato dalla bassa opinione del popolo italiano - o mediterraneo in generale - diffusa in quegli anni. Stereotipi, pregiudizi culturali e razziali ereditati dal passato, come quelli della della generale "inaffidabilità" degli italiani, della loro "viltà" o "imperizia militare" trovarono in questa atmosfera nuovo alimento e giustificazione. Termini come "Itaker", un insulto assai volgare rivolto agli italiani che ha la sua origine nel gergo militare, compaiono a partire da questo periodo molto spesso in diari e lettere di soldati e ufficiali tedeschi.
La proclamazione dell'armistizio e le sue conseguenze
In questo clima tormentato, mentre nell’Italia del Sud proseguivano i combattimenti e gli Alleati intensificavano le loro incursioni aeree, il governo Badoglio avviò in segreto trattative di resa con gli Alleati. Dopo un tortuoso percorso, l’armistizio fu firmato il 3 settembre 1943 a
"Il governo italiano, riconosciuta l'
Quest’ultima espressione contribuì ad aumentare la situazione di incertezza tra gli ufficiali italiani, che lasciati senza precisi ordini operativi, si trovarono ad affrontare la difficile scelta se continuare, ed eventualmente contro chi, la guerra o se piuttosto smobilitare i propri uomini per tornare alla vita civile. La fuga precipitosa, non tanto del re e della sua famiglia, quanto quella dei ministri e dei generali, condannò le forze italiane a essere sopraffatte dalla Wehrmacht.
L’inizio dell’occupazione tedesca in Italia
L’armistizio poneva di fatto fine al Patto d’Acciaio, l'alleanza stipulata tra Regno d’Italia e Reich nel 1939. Per la Germania questo evento significava una grave perdita di prestigio, sia sul fronte interno che in politica estera, tanto più cocente in quanto essa non poteva fare a meno dello sfruttamento sistematico della capacità industriale, produzione agricola e forza lavoro dell’Italia. Il clima di indeterminatezza che la gestione della crisi da parte del governo Badoglio aveva creato giocò a vantaggio della Germania. All'annuncio dell'armistizio le forze tedesche eseguirono con rapidità e determinazione i compiti loro assegnati secondo il piano "Achse". Le truppe tedesche nell’Italia del Nord erano sottoposte al comando
La proclamazione dell’armistizio aveva colto di sorpresa la maggior parte degli italiani. Le truppe, lasciate a se stesse, si disgregarono. I soldati disorientati dalla determinazione e dalla spregiudicatezza con la quale i tedeschi condussero le loro operazioni, si lasciarono quasi ovunque disarmare senza opporre resistenza. Non di rado i comandanti italiani, temendo il rischio di un'insurrezione comunista, cedettero di buon grado le armi ai tedeschi. Le loro offerte di collaborazione vennero sfruttate a proprio vantaggio dall'esercito tedesco. Ci furono delle eccezioni, soprattutto tra gli ufficiali più giovani e determinati, ma si trattò per lo più di episodi di resistenza sporadici e non coordinati. I soldati italiani che non decisero spontaneamente di fuggire furono catturati, internati e inviati nei campi di prigionia del Reich.
Alcuni violenti scontri tra italiani e tedeschi si ebbero intorno a Roma, mentre più a sud le truppe sottoposte al comando del feldmaresciallo Albert Kesselring (Oberbefehlshaber Süd, da novembre 1943 Oberbefehlshaber Südwest) dovettero non soltanto disarmare gli italiani, ma anche opporsi all’avanzata degli Alleati e in particolare allo sbarco anglo-americano avvenuto all’alba del 9 settembre 1943 nella baia di Salerno. Nell’Italia del Sud le circostanze particolari della situazione locale costrinsero i tedeschi a procedere al disarmo degli italiani con modalità diverse da quelle usate al Nord: una volta privati delle armi, i militari furono per lo più lasciati liberi di tornare alle loro case.
Le testimonianze tedesche
L’armistizio dell'8 settembre 1943 fu un momento di rottura di grande significato. Le circostanze della sua attuazione fornirono alla dirigenza nazionalsocialista un motivo propagandistico potente e efficace, quello del presunto "tradimento" italiano, di cui erano responsabili non solamente i vertici militari bensì l'intero popolo italiano. La condanna del "tradimento" divenne parte integrante dell’esperienza soggettiva dei militari della Wehrmacht e di esponenti del "Terzo Reich". Stereotipi negativi venivano estesi e attribuiti all'intero popolo, accusato di inaffidabilità, oziosità e opportunismo, caratteristiche queste che, plasmate dalla visione ideologica e razziale nazista, venivano ritenute essere un carattere distintivo e intrinseco degli italiani.
Le memorie, i diari e le lettere scritte da soldati e ufficiali in Italia contengono numerosi riferimenti alle sensazioni e alle reazioni proprie e della popolazione italiana all'annuncio dell'armistizio (definito con termini vari, quali Schweinerei [porcheria], Badoglio-Verrat [tradimento di Badoglio]) con toni spesso di incredulità, stupore, ma anche con giudizi fortemente negativi nei confronti del popolo e dei militari italiani.
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Tradimento / Rabbia
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L´elemento etnico e religioso / Stereotipi negativi
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Comprensione ed empatia
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Freddezza / Distacco emotivo
Fotografie
Fotografie dei corrispondenti di guerra delle Waffen-SS Ferdinand Rottensteiner (operazioni di disarmo e occupazione nella pianura padana, Pavia, Milano) e Pachnike (Alpi apuane e Corsica).